Lo scorso 24 marzo sono iniziati i lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa, una serie di dibattiti e discussioni che nelle intenzioni delle massime cariche europee dovrebbe condurre ad un ampio progetto di riforma dell’Unione. Si tratta di un’impresa ambiziosa, che punta a riallacciare quel legame tra l’UE e i suoi cittadini che tanto sembra essersi indebolito nel corso degli ultimi decenni. A partire dagli anni Novanta, infatti, è venuto a mancare quel “consenso permissivo” (Lindberg, Scheingold, 1970) che aveva fino a quel momento caratterizzato l’atteggiamento dei cittadini europei nei confronti del processo di integrazione, e ancor più a seguito della crisi dei debiti sovrani del 2011-2012 un sentimento di profonda ostilità nei confronti dell’Unione europea si è diffuso rapidamente in tutto il territorio del Vecchio Continente.
Anche in Italia, uno dei paesi fondatori della Comunità europea e storicamente a favore dell’integrazione a livello sovranazionale, il supporto nei confronti dell’UE è diminuito notevolmente: nel 2007, ovvero prima della crisi finanziaria e di quella dei debiti sovrani, la percentuale di cittadini italiani avente un’immagine positiva dell’Europa era pari al 52%; nel 2019 questa percentuale era scesa al 33%. E forse è proprio per questo motivo che la Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, nel suo discorso in occasione della firma della Dichiarazione comune sulla Conferenza, ha tenuto a chiarire che questa non sarà una conferenza destinata esclusivamente alla cosiddetta “Brussels Bubble”, ma che, al contrario, dovrà vedere coinvolti quanti più cittadini europei possibili, dai più giovani ai più anziani, da coloro che vivono nelle grandi metropoli a chi invece abita i piccoli centri rurali.
La pandemia di Covid-19 ha messo in evidenza alcuni importanti difetti dell’Unione europea: primo fra tutti un’eccessiva rigidità burocratica e intellettuale. Si tratta della stessa rigidità che una decina di anni fa contribuì a rendere la crisi dell’eurozona ancora più grave di quanto non sarebbe stata per sua stessa natura. Allora, il risultato di questo atteggiamento fu l’imposizione di rigorosissime politiche di austerità nei confronti dei paesi cosiddetti debitori, i quali, nel tentativo di rispettare un regime fiscale così aspro, si sono ritrovati a dover fare fronte a masse di cittadini sempre più poveri, arrabbiati e frustrati nel vedere le disuguaglianze tra ricchi e poveri dilatarsi sempre di più. La risposta dell’Unione alla crisi pandemica è stata più veloce e più efficace rispetto a quanto avvenuto durante la precedente crisi finanziaria. Tuttavia, non è stata priva di errori, come ha dimostrato la lentezza dei paesi dell’UE nell’approvvigionamento e distribuzione di vaccini rispetto invece agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Gli ufficiali europei si sono persi in una estenuante negoziazione con le grandi case farmaceutiche, nel tentativo di ottenere il prezzo più basso e più vantaggioso da poter vantare di fronte all’intera policy europea, mentre invece la pandemia continuava a mietere vittime in tutto il continente.
Tutto ciò altro non è che il risultato del peculiare sistema di governance che esiste a livello europeo. L’UE, difatti, non dispone di un potere esecutivo unitario, piuttosto è caratterizzata da un esecutivo bicefalo: da una parte abbiamo il Consiglio europeo, istituzione che riunisce i capi di Stato e di governo dei vari paesi membri; dall’altra la Commissione europea, istituzione sovranazionale indipendente dagli Stati membri. Il Consiglio europeo, nel corso degli ultimi anni, ha rivendicato il ruolo di esecutivo dell’Unione, ma è evidente, e le vicende degli ultimi mesi non hanno fatto altro che confermarlo, che non si possono governare 450 milioni di cittadini europei attraverso il consenso unanimistico di 27 leader nazionali. La Commissione da parte sua può esercitare il potere esecutivo, ma gli Stati si sono ripetutamente opposti all’idea di allargarne le competenze, cosicché ad oggi essa può agire solamente nel campo delle politiche regolative del mercato unico.
La pandemia di Covid-19 ha messo in evidenza questa incongruenza del potere esecutivo dell’UE, ricordandoci che di fronte a minacce esistenziali quali la pandemia, nessuna organizzazione può permettersi di non disporre di un esecutivo istituzionalmente unitario, oltre che politicamente responsabile (Fabbrini, 2020). La neonata Conferenza sul futuro dell’Unione si prospetta come l’occasione ideale per discutere sulla governance dell’UE e risolvere una volta per tutte la tensione tra pulsioni intergovernative e sovranazionali che impedisce all’Europa di funzionare correttamente.
Bibliografia consigliata
S. Fabbrini, “Prima L’Europa. È l’Italia che lo chiede”, Il Sole 24 Ore, 2020.
CHIARA CIUCCARELLI