Walter Delogu, 65 anni ben portati, è «uno che viene dall’Inferno» come lui stesso dice. Una vita particolare, un uomo capace di uscire dall’abisso nel quale era finito; di trasformare una vita dissoluta in una risorsa da donare agli altri. Fu autista e guardia del corpo di Vincenzo Muccioli. Rimase il braccio destro del fondatore della comunità di San Patrignano fino alla rottura negli ultimi anni. Delogu, che ricorda con emozione l’inizio di una comunità che guariva «con l’abbraccio», con «i ragazzi che guarivano i ragazzi prendendosi cura uno dell’altro», non ha mai cercato la mitizzazione di quell’esperienza, ma ne ha sempre parlato criticamente, pur con il rispetto per la complessità. Oggi vive in Romagna con la famiglia e dopo aver vinto un concorso statale lavora nel 118. A Porto San Giorgio ha presentato sabato 19 giugno il suo ultimo libro Il braccio destro, Mursia, 2020 scritto in collaborazione con Davide Grassi, avvocato e collaboratore del Fatto Quotidiano. Lo abbiamo raggiunto e abbiamo rivolto a lui alcune brevi domande, consapevoli che l’essenza profonda della sua storia, traspare con maggiore intensità dallo sguardo allegro e luminoso di chi è tornato a vedere il cielo stellato, dopo avere a lungo camminato nell’oscurità.
Come entra a San Patrignano?
Io entro dopo una overdose. Ero a casa a trovare i miei, in quel periodo ero entrato nel giro della malavita pesante. Proprio quella sera ho cominciato a guardare le foto di quando ero ragazzo e mi son fatto prendere dall’angoscia. Mentre guardavo le foto, e senza accorgermi minimamente, ho messo una dose maggiore di eroina nel cucchiaio e ho subito un collasso molto forte. Risvegliato in ospedale, mi hanno mandato in comunità. Fu quel giorno che i miei genitori capirono che mi facevo…
Qual era diventato alla fine il suo ruolo all’interno della comunità?
Io ero in ufficio, al centralino, in quel periodo. Tutti i ragazzi della comunità sognavano di diventare autista personale di Vincenzo. Già chi andava ad accompagnarlo alle conferenze veniva toccato quasi come un miracolato. Avevo raggiunto dei privilegi incredibili, ma non avrei immaginato che avrebbe scelto me. Ricordo bene quel giorno, fu lui a presentarsi in ufficio: «ti piace la volvo 770 turbo?» da quel giorno sono diventato l’autista e la guardia del corpo di Vincenzo. Quel giorno mi è cambiata la vita. Capitava di incontrare e conoscere gente importantissima, uomini delle istituzioni come Craxi e molti altri. Era incredibile sentirsi improvvisamente rispettato da quei personaggi.
Quanto ha contato questa esperienza nella sua vita?
Molto. Perché nel bene e nel male io mi sono tolto dall’assuefazione delle sostanze stupefacenti, perché questo mondo così particolare mi ha fatto uscire dalla tossicodipendenza. Senza dubbio tutto questo tempo passato al suo fianco ha fatto sì che io dimenticassi per sempre l’eroina. Quando decisi di uscire da San Patrignano Vincenzo mi disse «tu sei un principe qui, fuori non ce la farai». Ho ricominciato da zero, come camionista. All’inizio è stato difficile, decisamente, ma mi sono imposto di alzarmi ogni mattina dal letto, per portare a casa qualcosa per la mia famiglia. Quella sua frase mi diede forza, diventò una sfida, con lui oltreché con me stesso. Quell’orgoglio mi ha dato la forza per raggiungere il riscatto, facendomi resistere di fronte alla tentazione di tornare…
Come è arrivata l’idea del libro?
Il libro è cominciato grazie a mia figlia (Andrea Delogu, conduttrice e scrittrice). Tutto nasce una sera, a cena da me. Mi disse «Papà, ho deciso scrivere su di te» La Collina. Inizialmente mi sono spaventato; ho pensato tra me e me «Proprio ora che mi ero rifatto una verginità e il mio passato sembrava dimenticato?». Mi disse che avrebbe voluto far conoscere alla gente il mio pensiero. Mi sono sentito tornare indietro, ma poi ho iniziato io stesso a scrivere. Mi ha chiamato la casa editrice Mursia ed è arrivata la proposta. È stata una grande sfida anche questa, ma fa piacere aver ricevuto molte critiche positive, anche se mi preoccupa – sorride – che non ci siano state critiche negative.
Un messaggio ai giovani di oggi?
Io credo che la droga e la criminalità ci saranno sempre. La cosa più importante è il rapporto dei genitori con i figli. È la base assoluta. Da genitore, bisogna avere l’umiltà di andare da un figlio per avere un contatto, farsi insegnare tante cose che noi adulti non sappiamo fare, essere curiosi verso di loro e cercare allo stesso tempo di insegnare le regole della vita, insegnare a giocarsele fino in fondo, cercando di fare meglio degli altri. Solo così si può andare avanti. Io sono felice di poter lavorare aiutando gli altri, nel 118, ma sono consapevole di essere un “miracolato” perché da certi mondi è difficile uscire.
LA REDAZIONE